• Matteo Ferretti
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Caro Luis Sepúlveda, avevo 15 anni ed ero una sognatrice

Stamattina abbiamo ricevuto una bellissima lettera di una ragazza che ha partecipato alla scorsa edizione del concorso. Ha voluto dedicare questa lettera allo scrittore cileno Luis Sepúlveda, recentemente scomparso all'età di 70 anni.

L'emozione per questa lettera è stata talmente grande che, in accordo con l'autrice, abbiamo deciso di condividerla con tutti i nostri lettori.

 

Roma, 16 aprile 2020.

Imprigionata ormai da giorni in una casa troppo piccola per contenere tutte le mie contraddizioni, mi accingo ad affrontare la solita routine. Mi sveglio, apro gli occhi con riluttanza, accendo il telefono e… un tonfo al cuore. Vertigini. “Lo scrittore Luis Sepúlveda è morto. Aveva 70 anni”.

Improvvisamente mi ricordo di quell’estate di qualche anno fa, una delle tante in cui non accadde praticamente nulla. Le giornate trascorrevano lente nella torrida cittadina di provincia in cui maledicevo di essere nata. Riesco ancora a sentire l’esplosione di freschezza sul palato dopo ogni boccone d’anguria divorato voracemente, mi tornano alla mente le gonne leggere e madide di sudore, le corse in bici, il rumore del ruscello sotto casa, le lucciole e i grilli di notte, i fiori raccolti e lasciati ad appassire nei libri.

Avevo 15 anni ed ero una sognatrice. Oscillavo quotidianamente tra lo stupore che mi suscitavano la natura e le cose apparentemente più piccole e la disperazione che provavo al pensiero di una vita banale.

Vagheggiavo di eroiche rivoluzioni e spargimenti di sangue per giusta causa, uomini coraggiosi, amori impossibili e luoghi esotici. Sognavo l’America Latina. Divoravo Marquez, Allende, Sepulveda e Neruda.

Dodici anni dopo, mi guardo allo specchio. La mia immagine è quella di una ragazza pacata, intrappolata in un lavoro forse troppo noioso. I grandi ideali hanno ceduto il posto al buon senso; il sogno di amori impossibili si è sgretolato sotto la certezza di una storia tranquilla; il desiderio di posti sconosciuti si è schiantato contro la realtà di una cameretta poco luminosa, in un quartiere caotico e senza alberi.

Sembro più pallida di allora, ma ad un tratto ho un sussulto. È come se mi fosse tornato alla mente un sogno remoto, divenuto sbiadito, quasi impalpabile. È il sogno di un’altra vita, vissuta quell’estate, di un posto in cui mi perdetti. Non ricordo bene ogni evento, ogni frase, ma ricordo la terra, la foresta, l’oceano, gli odori, gli sguardi, le sensazioni. Fu quello, Luis, il tuo regalo per me; i tuoi libri furono la porta d’ingresso per un altro mondo, popolato da gatti e topi che diventano amici, lumache lente perché troppo piccole per portare il peso di tutte le gioie e di tutti i dolori provati, balene che proteggono il mare dall’odio degli umani, gatti che insegnano il volo a gabbianelle impaurite che non conoscono il valore della propria diversità. È lì che mi rifugiai quell’estate, assistendo emozionata al volo di Fortunata, ed è lì che so di poter tornare quando la solitudine di una città che inghiotte mi pervade e il bisogno di gentilezza tra volti estranei diventa impellente.

Quel mondo mi appartiene, è mio per sempre, sebbene lo avessi quasi dimenticato. Ripenso a Zorba. Ripercorro i salti nel vuoto, rivedo le valigie piene di vestiti, libri e ansie, un viaggio in lacrime, alle mie spalle il mare e le montagne, davanti a me i palazzi e gli uffici. Ripenso alle metro perse di mattina, agli ombrelli rotti, agli incontri casuali e alle lunghe passeggiate accanto ad uno sconosciuto che voleva mostrarmi la bellezza. Ripenso a Zorba. “Vola solo chi osa farlo”.

D’un tratto sorrido e comprendo. Sono molto di più di una ragazza impaurita e annoiata, mi sono trovata anch’io sull’orlo di un precipizio e ho abbracciato le nuvole. Ho valicato i confini della paura e la mia mente ha toccato le pareti dell’universo. Sono Fortunata. Con questa consapevolezza, trovo il coraggio di alzarmi dal letto, preparandomi ad accogliere una giornata che potrebbe essere piatta oppure sorprendermi. Provo riconoscenza per la vita e la sua imprevedibilità.

Grazie, Luis.
Ora vola, “il cielo sarà tutto tuo”! 


"Si avviò verso El Ilidio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana."


C.

 

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