Improvvisazione Jazz: quando l'errore diventa opportunità

Il Jazz è un tipo di composizione musicale estemporanea, che fa dell’improvvisazione il suo cavallo di battaglia e la sua caratteristica distintiva. Troviamo che alcuni aspetti dell’atto creativo e dell'esecuzione possano essere letti come strumenti di formazione. Proveremo a proporre le nostre riflessioni senza alcuna pretesa di tecnicismo.

Trasformare l’errore in opportunità.

In uno spartito di musica classica c’è una specifica sequenza di note e accordi da seguire. Un errore, ad esempio mancare o sbagliare una nota, viene semplicemente percepito come un errore. 

Ora, senza demonizzare il rigore della musica classica, pensiamo al sistema scolastico, ad alcune comunicazioni genitoriali, ad altri modelli formativi o educativi nei quali ci siamo imbattuti. Troppo spesso l’impostazione segue lo stesso processo: un errore viene giudicato come un errore, e basta. Nel caso della scuola e dei genitori viene spesso punito, con voti negativi o rimproveri, nel caso dello sport viene esasperato (pensiamo a notizie come "Ronaldo è in crisi: non segna da tre partite"). I messaggi che passano sono più o meno del tipo “Sei un incapace”, “Non si fa così”, “Non puoi sbagliare”.

Nel Jazz l’errore (se vogliamo chiamarlo errore), ossia una nota dissonante, inaspettata o mancante, va invece giustificato da ciò che segue, può essere integrato nella composizione, può diventare il punto di forza dell’improvvisazione. Questo vuol dire che chi suona non ha paura di sbagliare, o di essere giudicato. Al contrario, un bravo Jazzista riesce a fare dell'errore il proprio marchio di fabbrica. Thelonious Monk, uno dei pianisti più famosi nel panorama Jazz, ha creato il proprio stile partendo proprio da note dissonanti, che sono state capite, e studiate soprattutto, dopo la sua morte.

Just a Gigolo - Thelonious Monk, 1963

 

L’errore non si giudica, si ascolta.

Il Jazz può veicolare un importante insegnamento a chiunque ricopra ruoli formativi, educativi o terapeutici: un errore cessa di essere tale nel momento in cui si attiva un processo di attribuzione di senso. Se il pianista manca una nota e basta, nell’orecchio dell’ascoltatore sarà percepita come una stonatura del brano. Se il pianista manca una nota, ascolta l’effetto che produce e pensa in che modo quell’errore potrà essere utile e armonico, magari deciderà di ripetere questa mancanza, arricchendo così la composizione. Nell’orecchio dell’ascoltatore diventerà un’opera d’arte.

Facciamo qualche esempio banale ma puntuale. Se durante l’interrogazione di matematica sbaglio un calcolo, la professoressa mi mette un brutto voto. E se invece mi chiedesse “Come hai ragionato per arrivare a questo risultato?”. Se a dieci anni rompo un vetro con il pallone da calcio, i miei genitori mi mettono in punizione. E se invece mi dicessero “Trova un modo per rimediare”?

La forza del Jazzista è quella di non scoraggiarsi o flagellarsi di fronte a un errore, atteggiamento che invece vediamo fin troppo diffuso in educatori ed educandi. La crescita e la formazione dipendono, in larga misura, dall’ascolto dell’effetto che i nostri errori producono. Dovremmo tutti allenarci e allenare in questa direzione.

Ringraziamo Matteo Ferretti per averci offerto questo spunto insolito e interessante.

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