Famiglia 2.0: cosa è cambiato dal 2000 a oggi
Spesso all’interno della famiglia nascono domande di intervento per psicologi, psichiatri ed altre figure professionali che gravitano intorno alla sfera dei servizi sociali e sociosanitari. Non solo si può fare riferimento ai vari professionisti, ma anche a tutto un insieme di figure dai contorni più sfumati, come gli assistenti educativo culturali, gli assistenti specialistici, gli “aiuto-compiti” o gli assistenti domiciliari. Si tratta di ruoli dove troviamo molto spesso giovani psicologi, entro funzioni immerse, se non invischiate, nella complessità della vita familiare.
Non parleremo dei nuovi assetti familiari, poiché essi sfuggono alle definizioni che cercano di normalizzarli. Negli ultimi anni infatti il concetto di famiglia è stato messo in discussione, reso al plurale, trasformato. Tuttavia, è innegabile che esso sopravviva come istituzione e come vissuto. Parlando di famiglia ci riferiamo dunque alla rappresentazione culturalmente ed emozionalmente condivisa, in particolare nel contesto italiano.
Fino ai primi anni duemila essa si proponeva, grazie al gioco dei generi e delle età al suo interno, come un contesto aggregante, dai precisi confini e con una precisa articolazione dei ruoli. Ad esempio, le donne presidiavano la dimensione interna, il focolare, in particolare esercitando un controllo implosivo nei confronti dei giovani, che peraltro sembravano colludere passivamente; gli uomini mediavano la relazione con il contesto più ampio, con la società, proponendo rapporti che non si riducevano al controllo, ma che prevedevano anche desiderio e divertimento.
Vari lavori contemporanei suggeriscono che questa famiglia, come rappresentazione condivisa, non c’è più; si è persa la sua funzione di contenimento, di controllo e di mediazione sociale. I vecchi confini sembrano dissolti, e si stenta a vederne di nuovi; come pure si è dissolto il preciso gioco delle parti. La “nuova” famiglia sembra invece essere catturata in un presente senza futuro. Si pensi alla reticenza dei giovani a lasciare il nucleo familiare di appartenenza, per problemi economici, per scarsa progettualità, ma soprattutto per la mancanza di criteri attraverso cui potersi confrontare con l’incertezza e con il rischio del mondo sociale.
D’altra parte, la perdita di un affidabile conformismo, di rapporti dati, rassicuranti, di un’identità nota della famiglia, non sembra creare solo disorientamento e scetticismo. C’è una crescente domanda per la psicologia rispetto una necessità di riorganizzare le relazioni, in particolare quelle familiari, teatro di conflitti e frizioni intergenerazionali. Nella confusione emozionale sta nascendo una competenza a riconoscere l’importanza del dialogo, del confronto sui problemi e del rinnovarsi dei rapporti all’interno della continuità familiare.
Potenziare questa competenza, renderla una funzione interna alla famiglia, potrebbe garantirle una flessibilità in grado di affrontare il presente, e soprattutto restituire ai giovani una possibilità di futuro.
Fonti
Giovagnoli F., (2012), Alcune riflessioni sul concetto di famiglia, in Rivista di Psicologia Clinica, 1, 111-120
Paniccia R.M., Dolcetti F., Giovagnoli F., & Sesto C., (2014), La rappresentazione dell’Accoglienza presso un Centro di Salute Mentale romano a confronto con la rappresentazione dei Servizi di Salute Mentale in un gruppo di cittadini romani. Una ricerca intervento, in Rivista di Psicologia Clinica, 1, 186-208
Saraceno C., Naldini M., (2013), Sociologia della famiglia. Terza edizione, Bologna, il Mulino