Scrivere ci aiuta a pensare le emozioni
Scrivere riguardo alla propria esperienza è terapeutico. È una frase che abbiamo sentito spesso, che senza ombra di dubbio ha la sua validità e la sua coscienza. Senza andare troppo lontano, la stessa psicologia, declinata nelle sue diverse forme di intervento, promuove la scrittura come espediente formativo, maturativo, come fattore di sviluppo.
Questo assunto è particolarmente significativo quando siamo alle prese con eventi connotati da una forte attivazione emozionale, ad esempio l’ingresso in nuovi contesti, lutti o separazioni, relazioni difficili. Laddove vi sia un’inibizione più o meno cosciente a raccontarsi agli altri, o laddove sia complicato attribuire un significato alla propria esperienza, la scrittura diventa un importante momento di elaborazione.
Contattare le emozioni, infatti, è molto complesso. Siamo più abituati a “dedurre” ciò che proviamo dai fatti, dal peso di quello che accade, difendendoci in questo modo dalla confusione e dalle ambivalenze. Immaginiamo, per esempio, la gioia del neolaureato, emozione legittima, che però, spesso, nasconde angosce, nostalgie o rimpianti, difficili da portare in superficie.
Scrivere è un pretesto per riorganizzare il proprio vissuto, per assumere una prospettiva diversa, quella di osservatore/narratore di sé stessi. Che si tratti di un diario quotidiano, oppure di un resoconto in relazione a un singolo evento, questa tecnica risulta particolarmente efficace, perché consente di mettere in rapporto due modalità distinte con le quali ci relazioniamo al mondo esterno: quella cosciente, razionale, logica e quella irrazionale, emotiva, inconscia.
Quando si tenta di ricostruire una determinata esperienza, è importante adottare un atteggiamento ipotetico, indiziario, che ricalca quello sperimentato, ad esempio, nella psicoterapia. La scrittura permette di elaborare non solo il singolo evento, bensì uno schema relazionale/emozionale, che trasversalmente riguarda il modo in cui ci rapportiamo agli altri.
In questa direzione, scrivere diventa uno strumento che promuove, attraverso la narrazione, l’elaborazione e l’integrazione di più livelli:
- Il qui ed ora della scrittura
- Il là ed allora dell’esperienza
- L’interlocutore fantasmatico
Difatti, sebbene la scrittura intesa in questo senso sia qualcosa di intimo, di privato, indubbiamente si riferisce più o meno consciamente a un interlocutore. “Fantasmatico” poiché non si tratta di qualcuno presente, in carne ed ossa, ma dell’idea di uno o più lettori nella fantasia di chi scrive.
Esistono diversi contesti in cui la scrittura è utilizzata per promuovere salute, anche laddove non ci sia una domanda esplicita. Da queste situazioni sperimentali emerge che scrivere di eventi “traumatici”, ovvero ad alto impatto emozionale, ha effetti benefici sul benessere globale dell’individuo (Pennebaker, 1999). Questa “tecnica della scrittura” non sostituisce certamente la terapia, ma sembra essere particolarmente utile per persone con modalità difensive, poco espressive, rigide nella rievocazione delle emozioni connesse all’esperienza.
Scrivere è un modo per pensare emozioni. Questo processo permette di riconoscere quali strategie abbiamo adottato e il senso delle nostre scelte, di ricostruire i buchi narrativi, ma soprattutto di individuare le risorse di cui disponiamo per fronteggiare le varie situazioni, in un’ottica di sviluppo.
Fonti
Carli R. & Paniccia R.M., (2005), Casi clinici. Il resoconto in psicologia clinica, il Mulino, Bologna
Pennebaker J.W. (1999), Tradurre in parole le esperienze traumatiche. Implicazioni per la salute, Psicologia della salute, 2
Solano L. (2007), Scrivere per pensare. La trascrizione dell’esperienza tra promozione della salute e ricerca, FrancoAngeli, Milano