Quando la Psicoterapia incontra il Teatro
La SeFaP (Società di Formazione alla Persona) propone esperienze di formazione che integrano la psicologia e il teatro. Questa fusione, di natura sia metodologica che teorica, nasce dal lavoro di due professionisti: Luca Strambi, psicoterapeuta della Gestalt, e Veronica Provolenti, regista e attrice proveniente dal cosiddetto Terzo Teatro.
Psicoterapia e formazione teatrale sono due setting diversi che intercettano una domanda di cambiamento, e peculiarmente forniscono strumenti per superare resistenze e attivare risorse. Grazie a una lunga esperienza nel proprio campo, entrambi sono giunti alla conclusione che le loro competenze, per quanto efficaci, avevano la possibilità di accompagnare le persone solo fino a un certo punto. L’idea di un’integrazione nasce dalla seguente ipotesi: mettere insieme le nostre capacità potrebbe favorire processi di cambiamento più potenti.
La terapia si arricchisce, fuori dallo studio dello psicologo, entrando profondamente in contatto con una dimensione corporea e sociale. Il training fisico, unito alla suggestione delle rappresentazioni sceniche e delle immagini teatrali, consente di nominare ed elaborare, attraverso nuovi canali, gli insight della relazione terapeutica. Al contempo, il teatro non è orientato soltanto alla performance, ma si esegue in un ambiente più responsivo e sensibile alle emozioni messe in gioco, contribuendo a sviluppare competenze di condivisione, riformulazione, feedback e analisi del processo.
L’ambiente in cui la proposta prende forma è il “laboratorio”. Questo termine descrive il percorso di formazione organizzato dalla SeFaP, e ne intende sottolineare due aspetti centrali:
- La fatica. Il laboratorio “è un lavoro molto concreto, ti fa venire i calli a mani e piedi”. La fatica ha un valore educativo ed è fondamentale per la realizzazione dell’uomo. Purtroppo, è in controtendenza rispetto a un contesto socioculturale organizzato dalla fretta, dalle scorciatoie, dal disimpegno.
- L’esperienza condivisa. “Laboratorio” è una parola che descrive un luogo dove più persone attendono a un lavoro comune, una sorta di bottega artigianale. La narrazione del gruppo è co-costruita, il lavoro non riguarda solo chi è in figura in un determinato momento, ma il rapporto che intercorre tra quello che succede al singolo e gli altri che fanno da sfondo.
Il labor teatrale consente di allearsi con le resistenze della persona. La finzione diventa uno strumento per mettere in discussione le proprie modalità di relazione, arrivandone a contattare la disfunzionalità o il preziosismo. “Il valore aggiunto del terapeuta sta proprio nel fornire strumenti di autoascolto, e non risposte”, laddove le maschere diventano espressione di una ricerca interiore, della propensione a generare un cambiamento creativo in sé stessi e negli altri.
di Michele Lollobrigida
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