Chi sono gli Hikikomori?
Si stima che in Italia siano circa 100.000, ma pochi li conoscono realmente. Il termine Hikikomori, letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, è stato formulato nel 1998 dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki, per riferirsi a quelle persone, in particolare adolescenti e giovani adulti, che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale per un periodo prolungato, evitando, in misure più o meno drastiche, qualsiasi contatto con il mondo esterno.
Per comprendere questo stile di vita, non ascrivibile a una vera e propria psicopatologia, lo si deve contestualizzare all’interno della cultura in cui è maggiormente diffuso, quella nipponica. In Giappone, infatti, la rigidità dei sistemi sociali tende a creare un terreno conflittuale per le aspettative dei giovani. Crescere in Giappone, generalmente, implica l'essere immersi in contesti competitivi, alienanti e spesso violenti per i più fragili.
L’ambiente in cui il disagio e la frustrazione sono più evidenti è la scuola. Episodi di bullismo, o fallimenti ripetuti, possono infatti provocare il ritiro scolastico, primo passo verso l’isolamento. L’umiliazione e il fallimento sono associati tradizionalmente alla vergogna, da immaginare molto più profonda di quella occidentale. Difatti, essa si intesse in trame familiari e viene condizionata dai propri ascendenti, esulando così dal singolo individuo.
La famiglia giapponese è l’istituzione che concorre maggiormente all’integrazione sociale dei giovani. Di solito, gli Hikikomori sono quegli adolescenti che, nel rapporto con i propri genitori, non reggono il peso dei forti vincoli emozionali, i quali influenzano le relazioni in ogni altro ambito. In particolare:
- l’amae, cioè una forte dipendenza dalla figura materna, che implica nell’adolescente un doveroso obbligo di restituire attraverso la propria realizzazione
- un sentimento di emulazione nei confronti dello stile di vita del padre, solitamente assente e distante dalle cure parentali
Gli Hikikomori, schiacciati da tutte queste pressioni, non sono invece rinunciatari per quanto riguarda la ricerca di una propria identità, di uno spazio in cui sperimentare un vero senso di appartenenza. Infatti, per la maggior parte, essi sono iper-attivi nella rete, attraverso la quale gestiscono i propri hobby, le proprie relazioni, la propria interfaccia con la società.
A causa dell’inoltrata permanenza nel mondo virtuale, questa condizione viene spesso confusa con la Dipendenza da Internet. Risulta più utile, invece, considerarla una categoria a sé stante, di cui l’abuso digitale è soltanto una conseguenza. Attraverso la rete gli Hikikomori fanno amicizia, creano contatti e comunità, coltivano passioni ed inseguono le proprie aspirazioni. Il disagio del mondo reale viene superato attraverso la costruzione di un ruolo alternativo, immerso in nuovi (social) network.
I tentativi di associare gli Hikikomori a criteri usuali, come Depressione, o Disturbi d’Ansia, hanno contribuito soltanto ad alimentare la confusione nei confronti del fenomeno. Per relazionarsi con queste persone, riteniamo sia importante conoscere e approfondire quali forme assumono il disagio e l’adattamento nei cosiddetti “nativi digitali”, coloro che sono nati sotto l’egida della tecnologia contemporanea.
Fonti:
Saito T. (2003), Hikikomori Bunkaron-Cultural Theory of Hikikomori, Tokyo: Kinokuniya Shoten