Il suicidio tra tabù e prevenzione
In Italia ogni anno muoiono suicide 4000 persone, nel mondo circa un milione. Contando anche i tentativi di suicidio le cifre si moltiplicano, andando a delineare un fenomeno sociale di primo rilievo. Recentemente si è intensificata la diffusione di una cultura di prevenzione rispetto a questa tematica. Il Servizio per la Prevenzione del Suicidio (SPS), istituito nel 2008 presso l’Azienda Ospedaliera Sant'Andrea di Roma, rappresenta la prima esperienza ambulatoriale, nel panorama nazionale, volta alla psico-educazione di soggetti a rischio.
La prevenzione è possibile laddove vi sia comunicazione. Attraverso diversi anni di attività del SPS è emerso che “persino nella crisi gli individui conservano il bisogno di esprimersi e di comunicare con gli altri, smentendo […] la nozione che il suicidio avviene improvvisamente, inevitabilmente e senza nessun preavviso.” (Pompili 2013, p.24). Chi ha fantasie di suicidio generalmente le condivide con persone significative, non ultime i professionisti che se ne prendono cura, attraverso comunicazioni più o meno dirette: “Voglio morire”, “Voglio farla finita” oppure “Non mi importa di nulla”, “Non ha senso resistere per questa vita”, “Non riesco più ad andare avanti”, “Tanto sono inutile”. Il peso di queste affermazioni viene sovente sottostimato, mentre è proprio attraverso tali aperture che si possono effettuare una valutazione e un intervento preventivo.
Purtroppo, il suicidio è ancora oggi un rigoroso tabù. Storicamente, in primis per considerazioni di tipo religioso, esso è infatti legato a vissuti di stigma, imbarazzo e vergogna. Questa reticenza si accompagna spesso a una serie di idee erronee, fuorvianti per le persone, ma dannose quando si tratta di operatori della salute. La disciplina nota come Suicidologia, formalizzata dallo psicologo Edwin Shneidman, ha maturato una ricca letteratura dalla quale è possibile ricavare importanti informazioni per il lavoro di psicologi e psichiatri.
Per ridurre la difficoltà di molti professionisti nel relazionarsi a questo fenomeno, l’indicazione fondamentale è che non ci sono prove che parlare apertamente di suicidio ne aumenti il rischio. Al contrario, la condivisione è risultata essere uno strumento che permette alle persone di contattare la propria parte in cerca di aiuto e di elaborare il problema, piuttosto che risolverlo attraverso comportamenti impulsivi.
Prevenire il suicidio è possibile, prevederlo no. Infatti, sebbene si ritenga un atto improvviso, si tratta usualmente di un evento fantasticato, meditato e pianificato per un lungo periodo. Tale gestazione concede un intervallo di tempo utile per individuare e gestire il rischio. Il gesto finale, con i suoi risvolti drammatici, è invece dovuto a un moto di impulsività, legato a frustrazioni “banali” della quotidianità. Tuttavia, leggendo tra le righe dell’ideazione suicidaria, la voglia e l’istinto di vivere cercano disperatamente un interlocutore. Nostra responsabilità è accogliere ed esplorare questa ricerca di contatto.
Più avanti proporremo altre riflessioni sull’argomento, cercando in particolar modo di evidenziare aspetti utili per valutare e intervenire in un’ottica di prevenzione.
di Michele Lollobrigida
Fonti:
http://dati.istat.it/#
https://www.ospedalesantandrea.it/index.php/menu-approfondimenti/parlano-gli-specialisti/658-sps-servizio-prevenzione-suicidio
Beck, A.T et al (1985), Hopelessness and eventual suicide: A 10-year prospective study of patiens hospitalized with suicidal ideation, in American Journal of Psychiatry, 142, pp. 559-563
Pompili, M (2013), La prevenzione del suicidio, il Mulino, Bologna
Shneidman. E.S (1993a), Some controversies in suicidology: Toward a mentalistic discipline, in Suicide and Life-Threatening Behavior, 23, pp. 292-298